Le interviste di Clickmobility.it: Bruno Lombardi, ad di Ratp Dev Italia

“Tpl, questione di management”

“Tpl, questione di management”

  Secondo l’ad di Ratp Dev Italia Bruno Lombardi tutti gli attori del settore si trovano di fronte a un deciso obbligo di cambiamento: la pubblica amministrazione, le aziende e ovviamente la politica, che dovrebbe essere in grado di dare le regole. «Attenzione a non finire come la Roma antica. Dove non ci si rese conto del momento di crisi fino a quando non ci si ritrovò i barbari alle porte».

Guadagnare con il Tpl? Si può fare. «È solo (o quasi) questione di management». Bruno Lombardi dice la sua con la sicurezza di chi guida il primo operatore straniero gestore di reti di trasporto pubblico in Italia. Romano, 67 anni, dalla homepage di Clickmobility l’amministratore delegato di Ratp Dev Italia Srl – una delle “braccia” più importanti del colosso Ratp, la “Regie Autonome des Transports Parisiens” – fa il punto della situazione, auspica un cambiamento di rotta a tutti i livelli – «aziende, politica, pubblica amministrazione» – e mette in guardia il mondo del trasporto pubblico locale italiano: «attenzione, perché mi pare si stia facendo la fine della Roma antica. Dove non ci si rese conto del momento di decrescita e di crisi fino a quando non ci si ritrovò i barbari alle porte dell’Impero».   Per dare l’idea delle difficoltà di un settore si arriva a parlare di crollo di un impero. Stiamo davvero vivendo il momento più difficile mai vissuto dal trasporto pubblico locale?   Lavoriamo in un settore in difficoltà per due evidenze su tutte: l’effettiva diminuzione di fondi e risorse, e lo smarrimento di una politica incapace di trovare soluzioni. Ma occorre non guardare solo alla penuria dei fondi e riflettere anche sulle gestioni inopportune. Tra chi opera nel nostro mondo, negli stessi ambiti territoriali – con relative stesse regole – c’è chi fa soldi e chi li perde. Segno che tanto dipende dal “manico”, e non è questione di politica o privato, pubblico o privato, ma solo questione di buon management. Quello che è certo, comunque, è che il Tpl si trova di fronte a un deciso obbligo di cambiamento che non riguarda solo le aziende, ma tutti gli attori: anche la pubblica amministrazione, che dovrebbe saper gestire il quotidiano, e ovviamente la politica, che dovrebbe essere in grado di dare le regole. Come sta succedendo in Francia – dove si sta varando un processo di revisione perché il settore rappresenta una quota troppo importante della spesa della pubblica amministrazione – anche in Italia è necessario un cambiamento a tutti i livelli. Che la politica garantisca una stabilità normativa, e le aziende sappiano puntare allo sviluppo.   Tutta questione di “buon manico”?   Un’azienda del Tpl, se ben gestita, anche in un momento così duro può cavalcare il momento e fare più profitti. Gli esempi da citare a riguardo ce ne sono. Certo, tanto dipende dal contesto. In Lazio a fare trasporto ci sono l’Atac a Roma, la Cotral per l’interurbano e circa 70 aziende piccole e piccolissime, di cui solo sette private, che sopravvivono agli attacchi della concorrenza. In una situazione così è tutto più difficile. In Francia, invece, a operare nel settore ci sono solo alcuni colossi, a ogni gara l’ente appaltante fornisce in comodato d’uso i bus e le rimesse e la differenza, in termini di ricavi, la fa la capacità di gestire. A Londra vale più o meno lo stesso principio: la gara dura 5, 6, 7 anni massimo, all’azienda viene dato tutto in comodato d’uso, i prezzi sono uguali per tutti, sono previsti bonus e malus sulla qualità servizio e la differenza la fa la propria capacità operativa.   Come pensa si stia ridisegnando il settore per trovare un nuovo assetto, e quali pensa siano le realtà che meglio stanno riuscendo ad adattarsi e reinventarsi?   In realtà, purtroppo, il settore non pare si stia ridisegnando. Ci sono alcune azioni, soprattutto quelle pubbliche, e sono di emergenza. Come è successo a Torino, dove si è venduto per coprire i “buchi”. O in Umbria, o a Genova, dove si è tornati indietro: tutti piani di sola emergenza. E un progetto disperato non è un progetto.   In tanti considerano la confusione e la mancanza di razionalizzazione normativa in materia il principale problema del settore. Quale opinione ha della normativa vigente in tema Tpl, e a suo parere quale direzione dovrebbe prendere? Il futuro del settore deve andare verso una liberalizzazione più decisa?   Il futuro del settore non deve andare in quella direzione, il futuro è la liberalizzazione più decisa. Lo è per legge. La direzione da prendere deve portare a una maggiore consapevolezza degli obiettivi. Il tema non è liberalizzare o meno, quello è un obbligo, una strada a cui non si può rinunciare, ma è necessaria una corrispondenza tra obiettivi e competitors.   Altro problema di fondo del Tpl si lega all’incertezza sui finanziamenti. Quale pensa dovrebbe essere il primo canale di sostentamento per il Tpl, e verso quale futuro si sta andando?   Il problema grosso non è la quantità dei finanziamenti, ma la regolarità. Per il settore sarebbe fondamentale la regolarità dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. In Toscana pagano a 120 giorni, in Lazio anche a 180, 200 giorni. Ci sono aziende che si bruciano il guadagno nel ritardo di pagamento. Certo, i fondi a disposizione del settore sono diminuiti, ma è un non problema. Per la certezza del futuro basterebbe la regolarità.   Come si potrebbe meglio gestire il finanziamento del Tpl da parte del pubblico?   Ci sarebbero di versi modi. Una soluzione potrebbe essere far gestire la cosa dalle Regioni come avviene per la sanità. Le regioni che ora vogliono fare le gare sul servizio di trasporto pubblico in fondo sono le stesse che gestiscono la sanità. All’operatore che ha bisogno di 100, 65 sono contributi e 35 lo incassa direttamente la Regione. Lo fa già con la sanità, perchè non farlo anche con il Tpl?    Quale pensa debba essere il mercato ideale? Quello dove operano pochi campioni nazionali o un mercato con operatori piccoli e locali?   Parlando di dimensioni, si dice che il mercato ideale sia quello da 20 milioni di km. Non è vero, la dimensione ottimale dipende dalla dimensione dell’origine di destinazione. Pensi alle differenze tra Liguria, l’Emilia piuttosto che Roma. Come si fa a parlare di dimensione ottimale? In Liguria mi sembra azzardato persino parlare di azienda regionale. La sola Genova, tra valli e costa, si potrebbe dividere in tre lotti. L’Italia è fatta di realtà del genere, e per fare progetti seri nel settore del trasporto occorrono management e regole chiare da parte della politica.       intervista a cura di Matteo Macor, Direttore di Clickmobility.it  

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