Troppi dipendenti, mezzi vecchi e malandati: un caso che spiega perché gli autobus italiani sono i peggiori d'Europa
Il punto di vista di Carlo Stagnaro per il Fatto Quotidiano sullo "stato di salute" del tpl genovese e non solo. Per capire appieno cosa sia successo a Genova, disordini e sciopero selvaggio a parte, bisogna partire da due elementi di fatto. Il primo è la situazione economico-finanziaria di Amt, la municipalizzata dei trasporti che ha bloccato la città per quattro giorni. Il secondo è l'accordo che, al termine di un contestato e divisivo voto dei lavoratori, ha chiuso la vertenza. L'analisi dei bilanci di Amt rivela che la drammatica condizione dei conti non è conseguenza dei "tagli" ai contributi: che, al massimo, hanno aggravato la situazione nell'ultimo biennio. Il problema nasce ben prima, e nasce da una struttura dei costi del tutto insostenibile. Uno studio dell'Istituto Bruno Leoni ha mostrato che i costi di produzione di Amt, per km prodotto, sono quasi doppi rispetto alle altre società liguri, e anni luce più elevati di quelli delle più efficienti aziende europee. Questo dipende in primo luogo dal costo del lavoro – cioè da un organico sovradimensionato e da condizioni lavorative del tutto fuori mercato – e poi da una flotta di mezzi vecchi e malandati, con ingenti consumi e costi di manutenzione. In altre parole, la zavorra di Amt è di natura organizzativa, ed è conseguenza dell'acquiescenza dell'azionista (il Comune) verso i diktat dei sindacati. In virtù di ciò, i tagli si sono sistematicamente tradotti in una riduzione del servizio, sicchè oggi i genovesi, a parità di esborso (tra finanziamenti pubblici e biglietto, tra i più cari in Italia), godono di un servizio menomato. In pratica, l'azienda è sempre meno un produttore di servizio, e sempre più un intermediario di costi fissi. L'altro elemento è l'accordo per il (temporaneo) salvataggio di Amt, siglato nella notte tra venerdì e sabato tra sindacati e amministrazioni comunale e regionale e approvato – sembra da circa il 60% dei lavoratori. L'accordo sostanzialmente prevede di continuare lungo i binari precedenti: riduzioni dei costi limitate e concentrate comunque su ulteriori tagli del servizio, finanziamenti pubblici più o meno mascherati per coprire i costi operativi e, pare, il subappalto delle linee collinari, cioè quelle meno remunerative. Quest'ultimo aspetto, da solo, dice tutto: l'azienda sembra ritenere che altri (presumibilmente privati) siano in grado di operare le stesse linee a un costo inferiore. Dal che derivano due domande. Primo: se questo è vero per le linee collinari, forse vale anche per quelle urbane? Secondo: se bisogna affidare a terzi queste linee, perché deve farlo Amt – lasciando opacità sul costo di queste linee rispetto alle altre – anzichè scorporare tali tratte dal contratto di servizio e farle affidare dal comune attraverso una gara pubblica (a cui, va da sè, la stessa Amt potrebbe partecipare)? Sarebbe un modo per prezzare correttamente il servizio; e per evitare forme di sussidio incrociato dentro i bilanci aziendali, peraltro inevitabili nell'attuale condizione. Il paradosso della situazione genovese sta tutto qui: allo scopo di proteggere la natura pubblica di Amt, vengono sacrificati la qualità del servizio e il diritto alla mobilità dei cittadini. Sarebbe confortante pensare che si tratti di una peculiarità della città della Lanterna, ma purtroppo non è così. L'evidenza aneddottica non manca: nei giorni scorsi abbiamo letto la storia della romana Atac, dove sembra sia esistita per anni una contabilità parallela alimentata dalla compravendita di tagliandi di viaggio falsi. Più in generale, i costi medi delle aziende italiane di trasporto pubblico locale sono del 30-50% superiori a quelli degli altri paesi europei. D'altro canto, come ha rilevato il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Erasmo D'Angelis, circa il 40% delle società tranviarie (inclusa quella genovese) sono tecnicamente fallite. Morale della storia: liberalizzazioni e privatizzazioni non sono una opzione ideologica, ma la condizione essenziale per garantire l'erogazione del servizio. Ogni scelta in senso contrario è una scelta contro i diritti dei pendolari e contro il buon uso delle risorse pubbliche.

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