Non sarà il momento più difficile mai vissuto dal trasporto pubblico locale («pensi solo agli anni ’70»), ma per uscire dalla crisi del settore di alternative se ne vedono poche. «Occorre che il settore trovi un suo equilibrio e generi valore. Anche un mercato regolato come il Tpl non può permettersi di distruggere valore, pena il suo inesorabile declino. Ovvero, quello sta accadendo in Italia, se non si interviene». Ma attenzione, non è questione di risorse («quelle sono più che sufficienti, anzi superiori alle necessità: esiste piuttosto un tema di come si spendono»), piuttosto di strategia e decisioni da pendere («siamo sempre in attesa di vedere una proposta di politica industriale compiuta e coerente»)
Sul suo mondo ha le idee molto chiare, Marco Piuri, Ad di Arriva Italia e Iberia e membro dei consigli direttivi di Asstra e Anav. «Il nostro è un settore che in Italia viene sistematicamente maltrattato ormai da 15 anni – spiega a Clickmobility.it – e che oggi appare piegato in un atteggiamento di totale autoreferenzialità. La stagione di una riforma e ristrutturazione del settore che sembrava aprirsi nella seconda metà degli anni ’90 sembra lontana anni luce, e guardata obiettivamente con gli occhi di oggi sostanzialmente disattesa». «Il decentramento dei poteri e delle competenze a livello locale invece di accrescere la capacità di lettura dei bisogni ha aumentato confusione ed incompetenza – continua – i governi non hanno saputo o voluto definire una chiara politica industriale a riguardo, e così il Tpl è ancora oggi concepito nei fatti come un “pezzo di welfare” scelto “obbligatoriamente” dalle fasce più deboli della popolazione». «Il segno più evidente di tutto questo è il conto economico del settore “a livello Paese”, che da anni distrugge valore. Per i cittadini, che pagano per un servizio mediamente di qualità ed efficacia non adeguate. Per gli azionisti, perché metà delle aziende ha bilanci in sofferenza. Per la filiera del settore, che ormai vive di investimenti scarsi e a singhiozzo». Non sarà il momento peggiore mai vissuto dal settore, ma si parla ormai chiaramente di “Tpl emergenza nazionale”. Quali erano i principi di questo processo di riforma mancato che ha ricordato? Distinzione tra la funzione di regolazione/pianificazione/programmazione ed il ruolo di gestore, cessazione delle rendite di posizione attraverso l’apertura del sistema ad una competizione (regolata, “per il mercato” ma pur sempre concorrenza), adozioni di schemi di governance e di regolazione più adeguati, sostegno al TPL come una delle leve principali per uno sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed economico). Mi dica lei quanto di questi principi si è tradotto in realtà. La sfida è ora passare da una consapevolezza acquisita a mettere in campo azioni efficaci e coerenti. Pezzi del sistema che funzionano in Italia e alcuni esempi europei dicono che si può. Sostiene sia necessario trovare un nuovo assetto del settore. Come pensa si stia ridisegnando, se lo sta facendo? Sinceramente penso che il settore non si stia ridisegnando affatto. Siamo sempre in attesa di vedere una proposta di politica industriale compiuta e coerente. Ci sono alcune linee di tendenza in atto sulle quali il mio giudizio è fortemente negativo. E vorrei chiarire che non si tratta di un giudizio negativo perché come operatore vedo disattese e/o impraticabili mie aspettative di reddittività o di crescita. È un giudizio negativo perché considero queste linee di tendenza sbagliate in termini industriali e non in grado di risolvere i problemi strutturali del settore. In che termini? Provo a spiegarmi. La vulgata più in voga si può molto sommariamente riassumere così: le risorse pubbliche sono scarse, insufficienti e disperse tra troppi operatori, l’offerta di servizi è scarsamente integrata tra i diversi modi (principalmente treno e bus), ci sono ridondanze e sovrapposizioni, il settore lato offerta è eccessivamente frammentato ed occorre razionalizzarlo attraverso fusioni ed accorpamenti perché così si possono generare economie di scala e risparmi. Non è tutto qui, ma questi sono certamente i contenuti principali. Una vulgata alla quale come risponde, lei che è addetto ai lavori, e primo protagonista del settore? Penso che le risorse siano più che sufficienti, anzi superiori alle necessità: esiste piuttosto un tema di come si spendono queste risorse e dove. Certo l’offerta è frammentata ma intanto precisiamo che l’ 80% della produzione è gestita da poco più di 100 aziende. Numero eccessivo comunque, ma ben diverso degli oltre 1000 operatori, molti dei quali sono piccole/piccolissime imprese private che esistono in tutti i paesi europei e che costituiscono una risorsa importante in termini di flessibilità e costi competitivi. L’offerta è poi scarsamente integrata, è vero, specie in alcune realtà, ma il punto è: chi deve razionalizzare l’offerta? L’operatore? O forse questo è proprio l’ambito di responsabilità del regolatore? Le grandi aziende operative generano economie di scala e risparmio? Falso. Lo dicono 100 anni di storia del settore e l’esperienza europea. C’è una dimensione ottimale operativa che permette l’efficientamento delle risorse: 10-5 milioni di bus/Km e 4-6 milioni di treni/Km. In questo settore esistono diseconomie di scala operative: grandi aziende hanno costi maggiori o crescenti. Ma la cosa più grave sono le conseguenze di tale vulgata, quelle che ho chiamato “tendenze in atto”, e lo si vede in molte regioni. Si crea un corto circuito per cui si fa coincidere l’ambito territoriale di programmazione con il bacino/lotto del contratto di servizio/gara, e si cerca di far coincidere anche l’operatore. La dimensione preferita di questo schema è quella regionale: programmazione regionale/bacino-lotto di gara regionale /unico operatore regionale. Uno schema che, se applicato, a cosa porta? Delegittimazione del regolatore che delega le sue prerogative all’operatore, incremento dei costi e delle diseconomie, processo di liberalizzazione falsato perché i “bacini regionali” sono poco contendibili. Mi permetta due corollari su questo schema. Il primo: la pretesa è di attuarlo per via normativa. La legge ed i capitolati definiscono “normativamente” come deve essere organizzato l’operatore, cioè il mercato. Un approccio dirigista che neanche più a Cuba o in Cina. Viene facile dare nome e cognome al soggetto che può realizzare il disegno: si chiama Gruppo FS ed è quello che sta accadendo. In tanti considerano la confusione e la mancanza di razionalizzazione normativa in materia il principale problema del settore. Quale opinione ha della normativa vigente in tema Tpl, e a suo parere quale direzione dovrebbe prendere? Anche con le leggi attuali un regolatore che volesse avviare un reale processo di liberalizzazione potrebbe farlo. Non è la normativa il problema principale, ma la conoscenza dei fenomeni e la volontà politica. Certo, in questi 15 anni abbiamo assistito ad una bulimia legislativa, con un fiorire di norme, emendamenti, circolari spesso tra loro in contraddizione e addirittura con un referendum (quello “ sull’acqua”) spesso tra loro contraddittori e voluti dai titolari delle rendite di posizione per tutelare i loro interessi. Emblematico il caso, giusto per citarne uno, delle leggi approvate dal governo Berlusconi nel 2009 che hanno portato ai cosiddetti contratti “6+6” grazie agli aiuti di stati garantiti al gruppo FS. Basterebbe dar vita ad un testo unico che metta ordine (Asstra e Anava hanno fatto una buona proposta in tal senso) e chiarire alcuni punti chiave. Quali, in particolare? La soluzione del conflitto d’interesse esistente tra Stazione Appaltante ed Operatore, che è la vera causa delle difficoltà del processo di liberalizzazione. Nella gran parte dei casi nelle gare in Italia l’arbitro (Stazione Appaltante) fa anche il giocatore. I casi più visibili sono stati le gare per i servizi di Milano e Torino, gestite dalle rispettive Amministrazioni Comunali e che hanno visto la partecipazione del solo incumbent (ATM a Milano e GTT a Torino) società controllate al 100% dalla stessa amministrazione comunale. Ma la stragrande maggioranza del settore è in questa situazione. Problema che in alcuni casi è presente anche nel settore ferroviario. Anche qui cito i due casi emblematici: Trenord che ha appena avuto la conferma dell’estensione del contratto di servizio fino al 2020 da parte della Regione Lombardia, propietaria al 50% della società tramite FNM. O il caso dell’Emilia Romagna dove è data per scontata la partecipazione alla gara per i servizi ferroviari regionali di TPER (controllata dalla Regione) insieme a Trenitalia. La Stazione Appaltante è FER (società delle infrastrutture controllata dalla Regione e “sorella” di TPER). Un altro problema di fondo del Tpl si lega all’incertezza sui finanziamenti. Concorda, o pensa ci siano altre, e ancora più gravi criticità? Le ultime decisioni dei governi nazionali (a partire del governo Monti) hanno almeno in parte risolto il problema con la costituzione e “consolidamento” del fondo nazionale e il fatto di vincolare queste risorse al settore. Questa decisione, certamente non in linea con l’aver assegnato alle regioni a suo tempo la titolarità sul Tpl, si è resa necessaria a causa dei comportamenti di molte regioni che hanno utilizzato parte delle risorse Tpl per sanare/coprire “buchi” del proprio bilancio. La strada intrapresa mi pare pertanto quella giusta. In realtà l’incertezza finanziaria è (stata) anche generata da mancati o ritardati pagamenti da parte della Stazione Appaltante all’operatore. Ancora una volta la responsabilità è del “conflitto d’interesse” prima menzionato. Se il “pagatore” è anche azionista di controllo di chi deve ricevere il pagamento, le obbligazioni contrattuali diventano, come dire, più flessibili e discrezionali. Parlando di finanziamento: quale pensa dovrebbe essere il primo canale di sostentamento per il Tpl, e verso quale futuro si sta andando? In realtà a mio parere in termini di finanziamento diventa cruciale l’applicazione dei costi standard: un sistema di misurazione del prezzo congruo da corrispondere all’operatore non più fondato sul concetto di spesa storica con l’introduzione del principio di responsabilità. Come ho già detto le risorse disponibili bastano e avanzano. Occorre distribuirle diversamente e premiare davvero i comportamenti virtuosi. Ma come alimentarlo, questo settore? In più modi. L’importante è che sia assicurato un certo montante e la sua indicizzazione al tasso d’inflazione di settore. Accise sui carburanti, quota IRPEF, tassa di scopo. Ciascuna soluzione ha i suoi pro e contro. Certo in un sistema più maturo il corrispettivo chilometrico dovrebbe comprendere anche la quota per il rinnovo della flotta superando la situazione attuale che genera solo ulteriore incertezza. La mia sensazione è che concettualmente ci sia consapevolezza del punto. Più difficile dare attuazione. Quale pensa debba essere il mercato “ideale”? Quello dove operano pochi campioni nazionali (come le grandi aziende in stile francese), o un mercato con operatori piccoli e locali? La domanda mi pare rifletta il dibattito per come si sviluppa in Italia, è mal posta. Intanto non c’è un mercato ideale ma il mercato per come si organizza. E nei cosiddetti “mercati maturi” (Germania e Nord Europa ma anche Francia) si dimostra che l’alternativa “campione nazionale” verso piccolo operatore non esiste. Coesistono entrambi. È evidente che la tendenza generale a livello europeo è quella di una progressiva concentrazione, analogamente ad altri settori. Ed il Tpl è ancora ad uno stadio iniziale. Ma c’è un modello da seguire? Alcuni grandi gruppi europei con funzioni corporate accentrate e società operative locali medie. Questo è il modello. Questi gruppi coesistono ed hanno bisogno di soggetti di dimensioni più piccole con i quali integrarsi ed esternalizzare parte dei servizi. È solo una visione dirigistica e politica quella che mette in contrapposizione questi soggetti ipotizzando un mercato con poche grandi imprese operative regionali (ovviamente pubbliche). Pensa che il Tpl sia un business, o che possa diventarlo? È un servizio pubblico locale che come tale è e deve essere connotato dai principi di generalità e universalità. Ed è necessariamente un mercato “regolato”, quello che gli economisti dicono essere la soluzione in caso di “fallimento del mercato” in senso neoclassico. Ma anche un mercato regolato non può permettersi di distruggere valore, pena il suo inesorabile declino e la scelta degli utilizzatori di altre soluzioni. Occorre quindi che il settore abbia un suo equilibrio e generi valore. E come? A questo punto si possono adottare diverse soluzioni, a seconda che si scelga di “pagare” questo servizio prevalentemente tramite la fiscalità (generale/di scopo/locale) o tramite il ricavo da biglietto. Il punto di equilibrio può essere ricercato con diverse soluzioni. L’importante è la coerenza del modello. Ma quale che sia la soluzione, il sistema deve generare flussi di cassa che siano in grado di sostenere gli investimenti, coprire i costi dei fattori di produzione, remunerare il capitale impiegato riconoscendo un prezzo per il rischio intrinseco assunto da chi organizza l’attività (quello che la UE definisce ragionevole margine). Tutto quello che in Italia non succede. Oggi in Italia, per tutto questo detto in precedenza, ed a parte alcune eccezioni, il sistema non garantisce le considerazioni richiamate. Ma se si vuole che il Tpl esca dalla sua condizione di crisi strutturale non c’è alternativa.
intervista a cura di Matteo Macor, Direttore Responsabile Clickmobility.it