L'approfondimento di Pagina99

Car sharing, la proprietà è finita

Car sharing, la proprietà è finita

I numeri, i protagonisti la convenienza, l'impatto ambientale dell'auto condivisa. Una mappa mondiale e le previsioni di crescita

Aristotele e Spotify. Logica e musica 2.0. «La ricchezza degli oggetti non è nella proprietà ma nel suo uso»: parole del filosofo greco che non stonerebbero in uno dei celebrati discorsi di Steve Jobs.Un manifesto per la shared economy che, partita dai dischi, arriva a coinvolgere l’oggetto più conservatore, l’automobile: condividere un’auto, utilizzandola anche per pochi minuti, pagando solo il suo consumo. L’auto si prenota, si usa e si parcheggia. Il conto arriva direttamente sulla carta di credito.   Nulla di più. Si chiama car sharing ed è subito (o quasi) successo: nel 2013, secondo Frost&Sullivan, i clienti del car sharing nel mondo hanno raggiunto quota 2,3 milioni, di cui 700 mila in Europa.       Le stime sono positive: nel 2020 gli utenti diventeranno 26 milioni, 15 dei quali in Europa. Il fatturato globale passerà dall’attuale 1 miliardo di dollari ai 6 miliardi del 2020 (fonte Navigant Consulting). Numeri appetibili a scatenare l’interesse delle tradizionali compagnie di autonoleggio, preoccupate di difendere un business che solo negli Stati Uniti (primo mercato al mondo per il rent a car) vale 24 miliardi di dollari l’anno con un tasso di crescita continua: +3,9% nel 2013.   Il colpo grosso finora sembra averlo messo a segno l’Avis. A gennaio 2013 ha acquistato per 500 milioni di dollari, con un premio rispetto alla quotazione del 49%, la più grande azienda mondiale di car sharing, l’americana Zipcar: fondata nel 2000 da Robin Chase, presente in 20 mercati, 300 campus universitari e 850.000 membri, con revenue nel 2012 di 279 mln di dollari e un tasso di crescita del 27% negli ultimi 5 anni. L’acquisto consente ad Avis e Zipcar di generare tra i 50 e 70 milioni di dollari di sinergie.       Sono numeri in grado di generare l’appetito anche dell’industria automobilistica. Tanto più se, in teoria, ogni vettura di car sharing sostituisce 10 auto private (secondo Alix Partners, negli Stati Uniti il rapporto arriverebbe addirittura a 1 per 32).   L’idea delle Case auto è di una partnership con gli stessi rent a car, una sinergia che ha consentito di rivoluzionare l’idea del car sharing rendendola ancora più semplice: niente prenotazione (o quasi) e possibilità di lasciare l’auto in qualsiasi momento senza necessariamente tornare al punto dove si è ritirata. Tecnicamente: modelli ad accesso e rilascio libero.       Il leader qui è Car2go, servizio lanciato nel 2008 da Daimler in collaborazione con Europcar: 9.500 Smart, 550.000 clienti in Europa e Stati Uniti, oltre 12 milioni di noleggi e più di 80 milioni di chilometri percorsi. C’è poi Bmw (e Sixt) con DriveNow: 215.000 clienti e 2.350 vetture nel mondo. Sia Mercedes che il rivale bavarese dichiarano che non c’è nessun rischio di perdere acquirenti nel business tradizionale, anzi. Per Alfredo Altavilla, a capo del gruppo Fiat in Europa, il servizio Enjoy lanciato a Milano è un modo «per fidelizzare il cliente al marchio e la maniera più veloce per avvicinare nuovi clienti»..       A vantaggio di Bmw e Daimler c’è la possibilità di mettere a disposizione degli utenti anche vetture elettriche a zero emissioni allo scarico, molto più difficili da vendere:«L’auto elettrica è la vettura ideale per un servizio di car sharing in città», ha dichiarato Annette Winkler, numero 1 di Smart, la piccolissima di casa Mercedes con in listino anche un modello a batterie. La pensa allo stesso modo Ian Robertson, a capo del marketing e vendite Bmw, che prevede nel car sharing, «uno dei principali mercati per la nuova elettrica i3». E sulla condivisione di auto a batterie ha puntato l’amministrazione di Parigi, che nel 2011 ha lanciato, insieme all’industriale Bolloré, l’innovativo servizio Autolib: oggi sono quasi 3.000 le Bluecar elettriche (prodotte da Pininfarina) disponibili per gli arrondissement parigini, per un totale di 3,7 milioni di noleggi, quasi 124 mila abbonati e un taglio alle emissioni di CO2 di oltre 4.000 tonnellate.       Non solo. C’è un terzo servizio di car sharing, quello della condivisione «dal basso», quello che sarebbe piaciuto ancora di più ad Aristotele. E’ il peer-to-peer: utenti privati che noleggiano la propria auto quando non la usano. Considerando che, secondo le ricerche, in media un’auto rimane ferma in sosta per il 93% del tempo, le potenzialità sono enormi.   Per Frost&Sullivan questo tipo di offerta potrebbe arrivare a coinvolgere in Europa 310 mila veicoli, con 740 mila utenti entro il 2020. Gli americani di General Motors consentono ai proprietari di una Buick, Chevrolet, o altra vettura del marchio, sportivissima Corvette inclusa, di mettere a fattor comune la propria auto negli Stati Uniti nel servizio RelayRides. L’iniziativa peer-to-peer è stata lanciata anche in Europa da Buzzcar, fondata come Zipcar, da Robin Chase.       In questa direzione c’è però da registrare un primo passo indietro: la stessa RelayRides non consente più il noleggio orario ma soltanto giornaliero o mensile, perché i costi associati a rendere disponibile l’auto per qualche ora non sono più sostenibili per il proprietario. Allo stesso tempo la società americana ha annunciato un servizio interessante per i frequent flyeramericani: mettere a disposizione la propria vettura in aeroporto (si parte da San Francisco) invece di lasciarla ferma nel parcheggio. Secondo RelayRides, la condivisione potrebbe garantire dai 150 ai 400 dollari al mese, a seconda dell’auto.       E’ un’idea vincente quella del car sharing, qualunque sia la soluzione proposta, che funziona grazie ad una serie di convenienze. Economica: le tariffe sono variabili, in ogni caso però inferiori ai costi di gestione e di mantenimento di un’auto di proprietà. Il punto di pareggio è solitamente fissato sui 10.000 chilometri: per un automobilista che guida meno di 5.000 chilometri all’anno, il risparmio è in media di oltre il 40%. Senza considerare la versatilità d’uso. Il servizio mette a disposizione vetture di diversa tipologia: mini van per le grandi spese, monovolume per la gita con amici, piccola dalle dimensioni urbane per gli spostamenti in centro. L’auto giusta per ogni scopo. Semmai il paradosso è un altro: i servizi gestiti dalle Case automobilistiche sono gli unici a offrire un modello unico.       C’è poi la sostenibilità ambientale. Intesa anche come ambiente che ci circonda. L’auto di car sharing elimina dalle strade circa 10 vetture private: la città guadagna, o meglio ri-guadagna, spazio urbano da destinare alla mobilità pedonale o ciclabile oppure al verde. Le auto utilizzate poi sono spesso a ridotto impatto ambientale: elettriche, ibride oppure a gas metano.   «Le motivazioni ambientali con cui, almeno in parte, il car sharing è nato, sono state però tradite negli ultimi anni proprio dal grande successo che il servizio sta avendo», spiega Carlo Iacovini, autore di un libro dedicato al car sharing di prossima pubblicazione con Edizione Ambiente: «L'esplosione di utenti non nasce più da aspirazioni ecologiche ma da vantaggi come comodità, economicità e libertà. Questo vale per le imprese, per i privati e persino per i giovani tra i quali il car sharing sembra diventato un fenomeno di moda».       L’aspetto più rivoluzionario però è un altro. E’ celato dietro i dati nascosti nel cassetto: la percorrenza chilometrica annua da parte degli utenti del servizio diminuisce del 25% con il tempo. Il cliente percepisce il costo reale di ogni suo spostamento in auto e tende a limitare l’uso della vettura a favore del trasporto pubblico. Il car sharing riesce in un obiettivo impossibile, almeno agli occhi di chi vive in una grande città: vivere senza automobile. Se non è rivoluzione questa.

Left Menu Icon